Carlo Goldoni, La vedova Scaltra (1748): Rosaura, vedova di Stefanello de’ Bisognosi - la cui figura anticipa quella successiva, vero capolavoro di civetteria, di Mirandolina nella Locandiera (1752) - è corteggiata da un cavaliere francese, Monsieur le Blau, molto affettato, da un inglese, Milord Rubenif, molto ruvido, da un gentiluomo spagnolo, Don Alvaro de Castiglia, molto attaccato ai titoli nobiliari, e da un italiano, il Conte di Bosco Nero, molto innamorato. Siamo alla scena 25 dell’atto III, in cui Rosaura, alla presenza dei vari personaggi, compresa sua sorella Eleonora e la cameriera Marionette, fa cadere la sua scelta sul Conte, il quale, dice Rosaura, “con espressioni di tenerezza, di rispetto e di amore mi obbliga e mi convince”. La scena si apre con le seguenti parole di Monsieur le Blau:
“ Madama Rosaura, vostro umilissimo servitore. (le bacia la mano) Mademoiselle Eleonora, m’inchino alle vostre bellezze. (bacia la mano per forza anche ad essa, che la ritira) Amici, son vostro schiavo. Marionette, buona sera. (tutti s’alzano e salutano). “
‘Son vostro schiavo’ è una forma di saluto reverenziale che era assai frequente nel Veneto ai tempi di Goldoni, il quale la usa con alcune varianti in diverse commedie ( nella Locandiera: Amici, vi sono schiavo). Poco prima, d’altronde, Monsieur le Blau si era rivolto a Madama Rosaura con un ‘vostro umilissimo servitore’, formula di cortesia al pari di ‘servo suo’ o ‘servo vostro’. Il XVIII secolo, d’altronde, è l’epoca dei cavalieri serventi o cicisbei, gentiluomini che galantemente offrivano i propri servigi ad una dama, con il consenso del di lei marito. L’ipotesi più attendibile è che cicisbeo sia una voce onomatopeica con riferimento a persona che chiacchiera in maniera frivola o bisbiglia. Il ‘cicisbeismo’ è un fenomeno di costume e di moda, nato a Genova all’inizio del 1700 e diffusosi in tutta Italia: una donna appartenente alla nobiltà teneva presso di sé, in alcuni casi per accordo matrimoniale, un cavalier servente, di norma scapolo, che poteva anche corteggiarla ma non era necessariamente il suo amante. Il cicisbeo, scelto in genere dalla famiglia della sposa, aveva come compiti principali quelli di accompagnarla a passeggio e nelle riunioni mondane e di svolgere per lei piccoli servigi. Il fenomeno, che sopravvisse fino all’inizio del 1800, restò limitato alla nobiltà e riguardò solo marginalmente l’alta borghesia, per cui sembra forzata la tesi che vede in esso un processo liberatorio della donna dalla servitù del marito e, più in generale, dalla stato di sudditanza femminile nella società civile dopo il Concilio di Trento (1545-1563) e la controriforma. Cicisbeo si usa ancora oggi nel senso di damerino, corteggiatore galante e un po’ lezioso, mentre il femminile cicisbea, che in passato ha indicato una donna leziosa che si diletta di sentirsi corteggiata, è ormai del tutto in disuso.
Tornando al ‘son vostro schiavo’ va detto che il saluto, con schiavo pronunciato s-ciàvo (s-ciào) dai Veneti , emigrò in altre regioni, quali la Toscana, dove fu mantenuta la forma (italiana) ‘ vi sono schiavo’, e la Lombardia, dove, invece, il saluto stesso fu alterato nella formuletta semplificata ‘ciao’, che, divenuta saluto confidenziale adatto ad ogni circostanza, dalla Lombardia è partita alla conquista di tutta l’Italia e non solo.
Oltre che vostro schiavo si usava anche servo vostro. E servo viene dal latino servum, che in origine indicava il guardiano, ad esempio di pecore, derivando da una radice indoeuropea *swer con il significato di osservare. Il significato originario di servum si ritrova nel verbo latino servare, da cui i nostri serbare, serbatoio ed i composti conservare, osservare, riservare e così via: e da serbare viene il sostantivo serbo, nel senso di conservazione, che, peraltro, s’incontra solo nelle locuzioni mettere in serbo, tenere in serbo e simili.
I Latini avevano anche il verbo deservire, prestar servigi, dal quale i francesi hanno tratto il verbo desservir con il significato, tra gli altri, di débarrasser la table des plats qui ont été servis ovvero di sgombrare la tavola dei piatti serviti, quello che noi chiamiamo sparecchiare, ma altresì con il significato estensivo di “finire di servire”: ebbene il participio passato di desservir è dessert, che ha assunto appunto il significato di utlimo servizio o ultima portata, prima di sparecchiar la tavola, sia che si tratti del formaggio, della frutta o del dolce, anche se oggigiorno il riferimento è perlopiù al dolce o ai vini da dessert, quali i passiti, i liquorosi e gli aromatizzati.
E schiavo? Viene dal latino medievale sclavum, slavo: nei secoli X-XI in Germania, a seguito della guerra contro le popolazioni slave da parte di Ottone il Grande (912-973) e dei suoi successori si affermò una grande corrente commerciale che aveva per oggetto la vendita in occidente di Slavi catturati nel sud-est europeo e sulle rive del Mar Nero, per cui sclavum assunse il significato di prigioniero e schiavo. Nel XIII secolo la ‘tratta degli Slavi’, si diffuse anche in Italia, in quanto essendo gli slavi pagani la loro schiavitù non contrastava con il divieto dello schiavismo imposto dalla Chiesa in conformità ai precetti cristiani. E con la tratta degli Slavi si diffuse anche la parola sclavum, divenuta poi, come abbiamo visto, schiavo, dando origine al nostro ciao. Come dire che se i popoli slavi non fossero stati sconfitti da Ottone il Grande & F. e non ci fosse stata la riduzione in schiavitù dei prigionieri slavi, oggi noi non potremmo salutare i nostri amici con ciao, ma ci dovremmo servire di ‘buongiorno’ e ‘buonasera’ o, al più, quando li lasciamo, di ‘arrivederci’ o di un generico ‘a presto’.
I pretendenti di Rosaura, come abbiamo visto, sono quattro: Monsieur le Blau, molto affettato, Milord Rubenif, molto ruvido, Don Alvaro de Castiglia, molto attaccato ai titoli nobiliari, il Conte di Bosco Nero, molto innamorato.
Il primo è affettato, ovvero ostentato, lezioso, ricercato, termine che ci viene dal verbo latino affectare, con il significato di prendere, aspirare, ricercare artificialmente e, quindi, ostentare, essere manierato specialmente nel linguaggio. Affectare è un intensivo del verbo afficere (ad, verso, e facere, fare), con il significato di mettere in relazione, fare impressione su qualcuno o qualcosa, influire (anche negativamente), da cui il sostantivo affectionem, influsso, inclinazione, affezione e, quindi, il nostro affetto sia come sostantivo (inclinazione sentimentale) sia come aggettivo (colpito da malattia ma anche da un sentimento di stupore, di meraviglia).
Affettato, nel senso di tagliato a fette, viene, invece, da a rafforzativo e da fetta, la quale, secondo l’opinione più accreditata verrebbe da offetta (con un passaggio da *l’offetta a la fetta) diminutivo di offa, nell’antica Roma focaccia di farro, offam, e in generale boccone, cibo arrotondato. Offa in senso figurato è il dono o la promessa che si dà o si fa a qualcuno per corromperlo, forse sulla scia del famoso episodio dell’Eneide (Libro VI , 416 e segg.), in cui la Sibilla, la profetessa di Cuma che sta guidando Enea all’Averno, riesce a placare l’enorme Cerbero, ferocissimo guardiano dell’Ade, gettandogli un’offa soporosa di miele e frutti magici.
Il secondo è ruvido, che in senso proprio significa non liscio, non levigato, oppure aspro se riferito al vino, ma in senso figurato indica una persona dalla maniere rozze o dal carattere scontroso. Ruvido viene dal latino rugidum da rugam, ruga, grinza della pelle soprattutto del viso, che tanti problemi crea alle signore ed ormai anche ai signori, i quali sembra stiano diventando sempre più assidui frequentatori di profumerie ed istituti di bellezza.
Il terzo è attaccato ai titoli nobiliari e, quindi, un superficiale che guarda più alle apparenze che alla sostanza, mentre l’ultimo è innamorato ed usa nei confronti di Rosaura espressioni di tenerezza, di affetto e di amore, per cui non poteva non essere il prescelto.