Si chiamano omonimi due o più parole che hanno un’origine diversa, ma la cui evoluzione storica ne ha determinato una identica grafia (omografe) ed un identico suono (omofone), come è il caso di “lira”, parola che indica sia uno strumento musicale sia una moneta.
Mettiamo subito da parte il termine latino lira, che significava terra sollevata tra solco e solco o, semplicemente, solco, da cui il verbo delirare (da de e lira) uscire dal solco e, quindi, essere fuori di sé, il nostro delirare. Dal participio presente abbiamo avuto delirante e dal tardo latino delirium il nostro delirio e, come neologismo medico, il delirium tremens (delirio tremante), che indica la sindrome terminale dell’alcolismo cronico, causata dall’astinenza da alcool: termine utilizzato per la prima volta all’inizio dell’ottocento dal medico inglese Thomas Sutton. E la storia finisce qui, senza alcun esito diretto in italiano del latino lira.
E veniamo, invece, al termine italiano lira, che come strumento musicale viene dal latino lyra, a sua volta dal greco lýra, che indicava, appunto, uno strumento musicale a corde pizzicate (inizialmente 4, poi 7), più piccolo della cetra, la cui cassa di risonanza era costituita dal guscio di una testuggine.
Poiché la lira veniva usata come accompagnamento nel canto di poesie, quali il ditirambo, l’ode, l’inno, i Greci definirono lýricos sia il suonatore di lira sia il poeta lirico. I Latini a loro volta chiamarono lyricus il poeta lirico e sia lyra sia lyrica (plurale neutro) le relative poesie. Orazio, che dedicò tre dei suoi quattro libri di Odi (Carmina) a Mecenate, nella prima ode del primo libro, elenca le diverse possibilità di scelta dell’uomo in considerazione del proprio modo di essere, cosicché qualcuno vuole fare l’atleta oppure il soldato, altri il mercante oppure starsene beatamente senza far niente. Ben diversa è l’aspirazione di Orazio, il quale dice a Mecenate:
Quod si me lyricis vatibus inseres
sublimi feriam sidera vertice.
se mi comprenderai tra i poeti lirici, toccherò le stelle con il capo levato in alto. Noi diremmo leverò il capo in alto a toccare le stelle oppure toccherò il cielo con un dito.
Nella lingua italiana il termine lirica diventa di uso comune in epoca moderna, con ripresa dal latino e dal greco lýricos, ad indicare sia il genere poetico che descrive i sentimenti intimi dell’uomo (poesia soggettiva) sia il melodramma in musica (opera lirica).
Come moneta, invece, lira deriva dal termine latino libra, confrontabile con il greco “lítra”, unità di misura di peso, da cui attraverso il francese litre, ci è venuto, con la rivoluzione francese e l’introduzione del sistema metrico decimale, il nostro litro.
Libra aveva il significato di bilancia e, per metonimia, anche quello di cosa pesata e, quindi, di unità di misura del peso (libbra), la quale era pari a 12 once ovvero 327,45 grammi. L’uso di questa unità di misura, il cui valore è variato nel tempo e nei vari luoghi di adozione, è venuto meno a seguito dell’introduzione del sistema metrico decimale, il quale, come è noto, è caratterizzato dal fatto che i rapporti tra le varie unità (multipli e sottomultipli) della stessa specie sono espressi da potenze intere di dieci.
Ma libra, significando, come abbiamo visto, cosa pesata, indicava anche la moneta, in quanto originariamente le monete non erano contate, bensì pesate, compito svolto dal libripens, ovvero il pesatore, colui che teneva la bilancia nelle formalità di vendita. La libbra fu presa a base, intorno all’ anno 790, da Carlo Magno per il nuovo sistema monetario, con il quale introdusse come unica moneta il denaro argenteo, prevedendo, in particolare, che per ogni libbra d’argento si ricevessero in cambio 20 soldi, ovvero 240 denari, in quanto il sistema monetario carolingio era duodecimale e, quindi, 1 soldo era pari a 12 denari.
Soldo deriva dal tardo latino sol(i)dum nummum, ovvero moneta massiccia, solida, in quanto coniata in oro massiccio al tempo dell’imperatore Costantino. Successivamente, la moneta subì un progressivo svilimento di metallo e di valore fino a valere un ventesimo di lira, ovvero cinque centesimi, diventando, quindi, di infimo valore: un eventuale riferimento a cinque centesimi di euro sarebbe del tutto frustrante. Così, mentre da un lato ‘soldi’ ha assunto il significato generico di denaro, dall’altro ‘soldo’ ha finito per indicare cosa di scarsissimo valore come nell’espressione ‘alto come un soldo di cacio’, che vuol dire persona di statura bassissima.
Ma, attraverso il participio passato dell’antico italiano saldare, ovvero assoldare, soldo ci ha lasciato il soldato, cioè l’uomo d’armi as-soldato, in quanto mercenario, e pagato con il soldo.
La libbra, che attraverso vari passaggi si era trasformata in “lira”, fu utilizzata da diversi Stati dell’Italia medievale e preunitaria, tra cui il regno sabaudo, e, con l’unificazione del nostro paese, diventò, nel 1862, l’unità monetaria nazionale (lira italiana).
A parte la Città del Vaticano e la Repubblica di S. Marino, che adottano la moneta italiana e, quindi, fino al 28 febbraio 2002 hanno utilizzata la lira, gli altri Stati che hanno avuto ed hanno tuttora in uso la lira sono Israele, Libano e Turchia.
Ma il latino libra non ha generato solo la lira, bensì, direttamente o tramite suoi derivati, anche altri termini riferibili alla funzione equilibratrice della bilancia e, quindi, al concetto di equilibrio.
Dal latino libella, diminutivo di libra, che indicava una piccola moneta d’argento ma anche la livella, derivano sia la nostra livella, ovvero lo strumento che indica l’orizzontalità di una linea o di un piano, sia il nome della libellula, le cui quattro ali, quando leggera e aggraziata si libra in volo, sembrano ferme orizzontalmente.
Dal verbo librare, che in latino significava sia pesare sia scagliare vibrando una lancia sia, infine, mantenere in equilibrio, viene il nostro librare, che è usato soprattutto nella forma riflessiva librarsi, nel senso di tenersi in equilibrio, riferito ad oggetti o animali in aria o in volo.
Dal tardo latino aequilibrium, composto da aequus, uguale e libra, viene equilibrio, il quale si raggiunge, appunto, quando i due piatti della bilancia sono immobili.
Anche il nostro verbo deliberare – come transitivo, decidere, riflettere, aggiudicare (in un’asta), come intransitivo, disporre, provvedere – deriverebbe da libra, tramite il verbo latino deliberare (de – libra), in quanto il significato del verbo originariamente sarebbe stato, per effetto del prefisso de, quello di togliere dalla bilancia (libra) l’oggetto di cui si è accertato il peso per darlo al compratore e, poi, quello di aggiudicare al miglior offerente la cosa messa all’asta, che, come abbiamo visto, è uno dei significati del verbo italiano. Secondo altri il latino deliberare sarebbe composto da de e liberare, nel senso di mettere in libertà, scegliere, mettere in esecuzione.
Dall’aggettivo liber, che è nella condizione legale di libero opposto a schiavo, e dal verbo liberare, affrancare, dare la libertà, i nostri libero e liberare.
Tutt’altra cosa è il termine latino liber-bri, indicante la sottile membrana sotto la corteccia dell’albero, la quale veniva utilizzata per scrivere e da cui in latino e, quindi, in italiano il significato di libro.
Anche il latino aveva un termine libro, che non era un sostantivo ma una forma verbale, precisamente l’indicativo presente, prima persona, del verbo librare, che abbiamo già incontrato parlando della moneta lira.